lunedì 26 dicembre 2011

# 15.


Come prima cosa: Buon Natale

Siamo inaspettatamente sopravvissute a pranzi epici, eserciti di parenti, travestimenti da renna e overdose da panettone, e alla fine, con un giorno di ritardo sul Natale, ma in tempo sulla nostra tabella di marcia, vi regaliamo il quindicesimo racconto. 
Quel che vi regaliamo, in realtà, è la possibilità di scegliere. 
Il numero 15 ve lo raccontiamo in due modi diversi, da due punti di vista differenti.
Alcuni ci hanno chiesto, per una volta, un happy ending, e noi vi abbiamo accontentati con 'So this was Christmas'.

Per chi invece fosse un inguaribile malinconico, 'Non chiamarmi addio' dovrebbe fare al caso vostro. 

Buona lettura e in bocca al lupo per chi ha davanti mesi di avanzi natalizi da consumare. 

















Colonna sonora: Michael Bublè - Cold December Night (consigliamo l'ascolto durante la lettura).




Io ero migliore, io ero diversa e quindi decisi di andare a quella cena, di dimostrare a tutti quanti che avevano torto, che negli ultimi cinque anni ero cresciuta, non ero più la secchiona della classe pronta a passare appunti, a regalare suggerimenti. Ormai ero una donna, e il voler affermare la mia nuova autorità mi diede forza per arrivare fin laggiù, dove finalmente lo incontrai:

l'uomo della mia vita. 

Natale era finalmente arrivato. Ogni cosa a Londra urlava a gran voce il suo arrivo, ogni cosa era semplicemente scintillante, e anche io mi sentivo così. 

Non tornavo in città ormai da tempo, ma il tempo non l'aveva affatto cambiata. 
Un'enorme sfera di vetro e al suo interno tutta la magia delle feste, le luci di Regent Street e la coda di bambini fuori da Hamley's, il viavai di gente in cerca di regali dell'ultimo minuto a Oxford Street, le luci dei palazzi e i taxi neri e le cabine telefoniche rosse come addobbi costosi a riempire ogni via, ogni angolo, il profumo di bagels caldi in Bricklane, la metropolitana piena di gente rumorosa e la magia di Piccadilly. Natale era lì e io per la prima volta dopo tanto tempo lo sentivo dentro di me, e ne facevo parte a mia volta.

Quando arrivai davanti al portone mi sistemai il cappotto e il cappello, strinsi più forte il pacchetto tra le mani, poi presi coraggio e finalmente suonai.

Caroline aprì la porta sorridendo. Il suo era un sorriso di sorpresa, io in fin dei conti ero certa di essere per lei una sorpresa. La sua migliore amica era cresciuta. Capelli lunghi al posto di quel vecchio ciuffo di paglia biondo, occhi azzurri senza nessuna montatura pesante a nasconderli, e gambe lunghe e un vestito nuovo di zecca, e mi sentivo bene ed ero certa che Caroline era felice per me. 

Un abbraccio sulla porta, e quando entrai e rividi tutti quanti, loro non fecero altro che guardarmi stupiti, mi abbracciarono e sorrisero anche loro. La casa era addobbata a festa, e sì, c'erano tutti quanti. Anche lui. Indossava un abito elegante e un cappello rosso da Babbo Natale, lo indossavano anche altri, ma pensai subito che su di lui fosse diverso. Gli dava un'aria buffa, e dolce. Qualsiasi cosa avesse indossato, l'effetto su di me sarebbe stato lo stesso.

Me n'ero innamorata il primo giorno di liceo. Non lo ricordavo così bello. Lo era, era bello, e in un momento tutto tornò come prima. La ragazza impacciata, il ragazzo sicuro e spavaldo di un tempo. 
Mi guardò dall'altro lato del salotto e intravidi le sue labbra muoversi come a chiedersi come fosse possibile che fossi proprio io. Ma lo fece sorridendomi, con quel suo sorriso meraviglioso che ancora una volta mi scaldò il cuore, lo fece battere più forte. Tra tutti i sorrisi, quella sera, il suo era di certo e senza dubbio il più bello.

Mi salutò stringendomi la mano, e la sua mano non l'avevo mai toccata prima. Non avevo mai ricevuto un'attenzione da parte sua, e pensai solo che finalmente ero riuscita a sfiorarlo. Quante volte l'avevo desiderato. 

La cena fu meravigliosa. Mi sentii parte di quel gruppo per la prima volta, nuova e migliore, e avevo davvero voglia di recuperare tutto il tempo perso, di riprendermi le mie amicizie, i momenti che non avevo ancora vissuto.

Lui era seduto davanti a me, due posti più a destra, e ci guardammo di tanto in tanto e ogni sguardo era un tonfo al petto. Il rumore dei bicchieri durante i brindisi, il profumo dei dolci e la finestra appannata, e le luci dell'albero riempivano la stanza di un calore nel quale avevo sperato, e ogni cosa suggeriva un'aria natalizia per me senza precedenti. 

Ero felice. Ero felice e non avevo mai amato tanto il Natale. 

Quando la cena terminò, salutai Caroline abbracciandola ancor più forte, e la ringraziai per avermi fatto un regalo così grande. La possibilità di riscattarmi e di rivedere lui. Lei non era affatto cambiata. Mi disse che mi augurava ogni bene per quel che mi aspettava.

Uscii dalla villetta di South Kensington e mi strinsi nel mio cappotto scuro, soffiai nelle mani fredde per riscaldarle. 
Mi affacciai sulla via per cercare un taxi, e una mano già calda strinse la mia.

Mi voltai e lo vidi di fronte a me. Mi disse che Natale non era finito, e che era da tanto tempo che desiderava passeggiare con me. 

Quel che provai quando mi disse che ero bella, non lo so ancora descrivere. 
Per lui ero bella, e questo mi fece sentire ancor più felice.

Passeggiammo a lungo e quando lui mi baciò il mio mondo diventò finalmente completo. 
Il suo cappello da Babbo Natale cadde quando gli accarezzai la nuca, e le mie mani non erano più fredde, e non esisteva altro, nient'altro che noi in quel vicolo di Londra che si trasformò in un luogo incantato dove ogni desiderio poteva prendere forma. 

La mia mano nella sua e i nostri passi sulle strade della mia adolescenza, e sapevo che qualcosa era cominciato, e che quell'inizio ci avrebbe portati da qualche parte, ma non m'interessava dove. 

Mi bastava lui, e le sue braccia forti intorno a me, con tutta la passione di un amore appena cominciato per lui, forse, e di un amore maturato nel tempo per me.

Lo amavo e lo avevo amato sempre. 

Poi arrivò la neve. 
Londra si ricoprì di un candore mai visto prima. 

Mi accompagnò a casa, e sulle scale mi baciò di nuovo. 
Mi disse che ci saremmo rivisti presto, che mi avrebbe portata a pattinare e che mi avrebbe portata a cena. Che il nuovo anno l'avremmo cominciato insieme.

Con lui cominciò tutto. Non solo un nuovo anno. 

L'amore mi portò via per una notte, e poi per tutta la vita. 







 
Colonna sonora: Coldplay – In my Place (consigliamo l'ascolto durante la lettura).




Io ero migliore di tutti quelli che non ce l’avevano fatta. Mi ero ripromesso di non piangere, l’avevo fatto quando lei se n’era andata. Non avrei pianto più. Piansi invece al giorno del suo funerale. Un marito disperato in abito scuro e il rumore delle sue scarpe eleganti sui gradini della chiesa in pieno inverno. Piansi quando tornai a casa nostra. Piansi di giorno, di notte. Ogni volta che mi fu possibile farlo, io piansi. 

Quando finalmente riuscii a smettere, mi resi conto che non sarebbe finita così. La mia vita non sarebbe finita prima del tempo, dovevo andare avanti.

Ma non tutti riescono a farlo, e io ero tra quelli, quelli che smetti di piangere e cominci a bere. Quelli che smetti di bere e smetti di dormire. Quelli che quando anche il sonno ormai è un ricordo cominci a finire quel che hai iniziato. Smetti di vivere un momento alla volta, e aspetti pazientemente che tutto finisca, protetto da uno strato di sottilissima apatia. 

Quando Caroline mi invitò alla cena di Natale per festeggiare in onore dei vecchi tempi, rifiutai. 

Ci vollero due settimane per riuscire a tirarmi fuori di casa. Lei venne a prendermi, lo fece davvero.
Mi tirò su dal mio divano e mi svestì. Mi aiutò a farmi la doccia. Poco più di un animale, mi sentivo questo e nient’altro, e Caroline mi accudì come un bambino per due giorni. Mi preparò la cena e mi disse che dovevo provarci, almeno provarci. Le volevo bene, da sempre. 

Mi trascinò alla sua festa di Natale e mentre guardavo fuori dal finestrino le vie illuminate di Londra lei disse che al mondo doveva esserci dell’altro per me. Qualcosa di buono, che mi avrebbe aiutato a superare la mia perdita. 

Erano già passati tre anni da quando se n’era andata. 

Gli altri sapevano. Mi salutarono tutti con una pacca sulla spalla, con un ‘mi dispiace’. Cose così, squallidi gesti di convenienza mista a commiserazione. Mi fecero sentire fuori posto, e quelli che una volta erano amici, si trasformarono uno per uno in gusci vuoti pieni solo di compassione camuffata da empatia. Tutti mi chiesero ‘come stai’, ma a nessuno importava davvero.

Poi arrivò lei. 

Entrò dalla porta d’ingresso accompagnata da Caroline, sorridente e bella come non l’avevo vista mai. Dentro di me sentii qualcosa, un impercettibile movimento nel petto. Tornai a funzionare poco alla volta. 

Lei non era come gli altri, era diversa. Non sapeva nulla di me, ma mi amava da sempre, e io questo lo sapevo perché Caroline me ne parlava sempre al liceo. Per un istante pensai che fosse destino, per un istante pensai che si trattasse di un sogno. Forse ero ancora nel mio appartamento, rannicchiato sotto le coperte da giorni, e stavo sognando.

Lei sorrideva come non avevo mai visto sorridere nessuno. 
Ad ogni suo sorriso, una parte del mio cuore si riscaldava, e alla fine della cena era quasi del tutto funzionante, come una volta. 

Quando lei se ne andò, la seguii. 
Le chiesi di passeggiare con me. 

Quando la baciai il mio cuore tornò a battere di nuovo, mi sentii vivo e il Natale che anni prima mi aveva portato via l’amore della mia vita, mi riportò alla vita. 

Quante volte ringraziai Dio tornando a casa, dopo averla salutata.
Quante volte, dopo quella volta, mi sentii nuovamente vivo. Per sempre felice. 

Io ero diverso, ero migliore di tutti quelli che non ce l’avevano fatta. Avevo passato tre anni della mia esistenza a vivere come un fantasma, aspettando che qualcosa mi portasse via per sempre.

Invece arrivò qualcuno, arrivò lei. 

L'amore mi portò via per una notte, e poi per tutta la vita.





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