mercoledì 21 dicembre 2011

# 14 - Modern love.


Colonna sonora: David Bowie: Modern Love (consigliamo l'ascolto durante la lettura).


Lo giurai davanti a Dio, l'avrei fatta pagare a tutti quelli che fino a quel momento mi avevano deriso, umiliato, preso a calci e picchiato. Picchiato con la "o" finale, perché per loro non ero mai stata quella che ero. Ero un deviato, un depravato in cerca di temporanee novità.

Il mio Dio, a quei tempi, portava già i tacchi a spillo. 

Quante volte lei mi aveva detto "sei sbagliato, è tutto sbagliato". 
Io piangevo e quando piangevo non ero mai abbastanza uomo per lei. Contro natura, uno scherzo del suo utero, un costume da carnevale brasiliano comprato in qualche discount su qualche statale in mezzo al nulla, il peggio, quel che loro, i miei genitori, non avrebbero mai augurato a nessuno. Una disgrazia con le gambe depilate, la borsa firmata e una piega di troppo. 

Questo ero. Altro da me, per vent'anni. 
Nella mia camera piansi ogni sera fino al mio ventesimo compleanno. Poi lo giurai davanti a quel Dio che solo io conoscevo, a modo mio, e nel quale credevo sin da quando ero piccola. 
Giurai che l'avrei fatta pagare ai miei genitori, conformisti bigotti in cerca di spiegazioni razionali e sempre in vena di battute di terz'ordine sul mio aspetto. Il mostro del quartiere camminava a testa bassa, lo feci per vent'anni. Poi arrivò il momento di andarmene. 

Partii mettendo in valigia i miei jeans a vita alta e le mie magliette a manica corta, le mie scarpe da ginnastica, e quando tornai indietro nella mia valigia c'erano scarpe diverse, vestiti attillati, smalti e bigodini, e una nuova carta d'identità dove finalmente mi chiamavo come dovevo chiamarmi, e alla voce "segni particolari" non c'era più "mostro", alla voce "sesso" c'era il mio di sesso.

Bussai alla loro porta, quella porta che loro si chiudevano alle spalle lanciando occhiate circospette al vicinato, assicurandosi che nessuno mi vedesse con i tacchi di mia madre ai piedi, per controllare che nessuno scoprisse la verità del loro "povero caro", il figlio di Satana che si aggirava per casa cantando canzoni di Barbra Streisand. 

Quel loro sbaglio vivente ora si ripresentava alla loro porta in tacchi da 15 centimetri, e quando, aprendo la porta, mi chiesero "cosa desidera tesoro?" la mia meraviglia si trasformò in soddisfazione e tutte le bugie uscirono dalle mie labbra rosse come la migliore delle poesie stilnoviste. Un "angelo caduto dal cielo", così mi definirono dopo un mese di convivenza. Mi presero in casa loro come una figlia, e mi prepararono la cena ogni sera con amore, la loro figlia mancata, un'adorabile signorina dai modi cortesi. 

Ad ogni boccone di polpettone mi pregustavo il momento che prima o poi sarebbe arrivato, il momento in cui avrei fatto quel che desideravo da tempo, portare via quel che avevo lasciato quando me n'ero andato da Meadville, Pennsylvania, la città dove i miei genitori mi avevano tenuto nascosto come un ladro per troppo tempo. 

Si fidarono di me dal primo momento, quando raccontai loro delle mie disgrazie, della mia ricerca infinita per trovare mia madre, e tutto il resto. Raccontai loro la migliore delle storie, toccando quei punti che li avrebbero fatti sciogliere come zucchero, e diventai quel che loro avevano sempre desiderato che il loro bambino diventasse. 

Mi raccontarono di lui, quella mina vagante, quella disgrazia che aveva segnato le loro vite in negativo, che li aveva tenuti lontani dal vicinato, che li aveva fatti etichettare come "fenomeni da baraccone". Le loro vite rovinate ai miei occhi erano la vittoria più grande.

Quando diedi fuoco alla loro casa nella notte, pensai che era quel che meritavano.
Lo feci con le mie scarpe più eleganti, e quando tutto prese fuoco, quando ogni cosa iniziò la sua fine, non mi voltai nemmeno una volta. Uscii dalla casa e con uno schiocco di dita il fiammifero volò su quello che diventò il rogo delle streghe della mia vita.

Ogni cosa, ogni loro avere, anche quelle dannate statuine Liberty che mia madre collezionava da una vita, diventavano niente alle mie spalle, inghiottite dal fuoco che avevo dentro, e che finalmente ero riuscita a tirar fuori. 

Il rumore dei miei tacchi sull'asfalto, il calore sulla mia schiena, i ricordi di una vita vissuta in modo sbagliato, quel bambino che si nascondeva dietro al dondolo del portico guardando le ragazzine che si pettinavano nella casa di fronte, ogni cosa svaniva nello scoppiettio delle fiamme. 

Ogni cosa al suo posto, dove doveva essere. Io, ero dove dovevo essere. Quel bambino, anche lui lo era. 

Camminai senza mai voltarmi e non avevo più paura. 

Quando loro tornarono a casa a tarda notte, dopo la loro cena dai vicini, la loro casa non era altro che un cumulo di cenere, la loro macchina uno scheletro agonizzante, il loro prato steppa inanimata. Il loro bambino, dimenticato. La loro preziosa scoperta, anche lei non c'era più. 

Me n'ero andata, finalmente. 
E tutto quel che volevo essere, ora era possibile.
E tutto quel che loro avevano costruito, ora era niente.

La mia personale passerella d'addio. 

Addio a loro e alla loro falsa religione che li aveva portati a liberarsi del loro unico figlio.
Non avrebbero mai conosciuto quel che ero realmente.

Una donna.
Quella verità, la mia verità, non l'avrebbero conosciuta mai, e mi sentii più forte a pensare che anche loro avrebbero provato quel che avevo provato io. 

Si sarebbero sentiti soli. 
Avrebbero pensato di farla finita, almeno una volta. 
L'avrebbero fatto. Perché non erano come me.
Io ero diversa.

Io ero migliore. 




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