sabato 26 novembre 2011

# 9 - Let go.



Colonna sonora: Oasis - Stop crying your heart out (consigliamo l'ascolto durante la lettura).




Le chiavi tra le mani. 

La gradinata in cemento illuminata dalle luci da stadio. Fila 6, dove sedeva sempre durante le partite. 
Il buio non è mai stato tanto buio e le certezze che un tempo erano tali, sfumate via come niente, profumi evanescenti di vittorie passate. Applausi come fantasmi, tornano a riempire l’aria del campo, sempre più forti e poi piano, piano, sempre più piano, fino a tornare nello spazio al quale ora appartengono, lo spazio di ricordi allontanati nella speranza di dimenticare, dimenticare perché a volte è l’unica scelta possibile. 

Lasciarsi alle spalle tutto questo, per cosa poi. 

Fila 6 e lei seduta di fianco a lui in silenzio, a fissare il campo vuoto, sotto alla luce dei riflettori è ancora più bella di quel che ricordasse. Tra le mani la sua maglia e quelle chiavi e le gambe nude e a giugno l’aria è calda e il rumore di cicale è l’unico da sentire, stanotte. 

C’era una volta in cui le gradinate erano al completo. C’era una volta e quella volta la squadra correva per il campo e guadagnava punti. Guadagnava punti e poi li perdeva e avanti così per ore e lei con le gambe nude e le chiavi tra le mani, ad esultare quando il punto era il loro, a sperare di più quando il punto non lo era. Quante volte, troppe volte. 

Lui accanto a lei e niente di più, perché per questa volta non parlarle, non toccarla, è l’unica scelta possibile. Solo il rumore delle cicale e il respiro di lei. Quando lui cerca di sfiorarle la mano con la sua, il respiro di lei si accorcia per un istante. La sensazione di calore sul suo palmo come la peggiore delle ingiustizie, il tocco del vento sul suo palmo come una crudele rivelazione. 

Niente più di questo avrà d’ora in poi. Le chiavi risplendono sotto alla luce dei fari e la gonna corta è troppo corta e l’amore è terminato e piangere non è più tra le scelte possibili, non stavolta, non più.
Il tempo per piangere è terminato. Lui vorrebbe dirle che gli dispiace, che certe volte di scelte non ce ne sono affatto. Vorrebbe dirle che non doveva andare così, e che la supererà. Lei dovrà superarla e lui non ci sarà più. 

Lei chiude gli occhi, lui li chiude insieme a lei. 

Facevano l’amore dopo ogni partita e quelle chiavi le conservava lei fino a quel momento, per poi restituirle a lui. Chiudono gli occhi e sono insieme in macchina, e cantano una canzone. Sono al parco e lui le bacia il naso. Gli occhi chiusi e si abbracciano sotto al portico. Gli occhi chiusi e il bacio prima delle lezioni, e le urla durante il loro ultimo litigio, e le gambe nude di lei tra le mani di lui. Gli occhi chiusi e la luce del mattino che filtra attraverso le coperte, e i regali dell’ultimo natale, e il sapore della torta di mandorle che lei gli preparava ogni domenica. 

Gli occhi chiusi e solo questo, l’amore come un fantasma torna a riempire l’aria del campo, sempre più forte e poi piano, piano, sempre più piano, fino a tornare nello spazio al quale ora appartiene, lo spazio dei ricordi allontanati nella speranza di dimenticare, ma dimenticare certe volte sembra una scelta impossibile. 

L’amore, fantasma seduto accanto a lei.

Il ragazzo che lei amava, che lei una volta conosceva, ora ragazzo di aria e respiri inesistenti, un ricordo, niente più di questo e più di questo solo una sensazione, sempre più lontana, che lui sia lì per davvero. 

Devi andartene, dice lei. Resterò qui finché vorrai, dice lui. Le sue parole come un eco nel vuoto, arrivano a lei sotto forma di vento, passano attraverso i suoi capelli, riscaldano il petto, poi tornano ad essere niente e quel che rimane è solo questo. Niente.

Lui appoggia la sua mano sulla mano di lei. La attraversa e diventano una. Insieme per l’ultima volta, per quante volte necessarie ad aiutarla a lasciarlo andare. 

Un tocco, senza toccarsi. 

Lei lo lascia andare.

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